Per molto tempo, la fama di Galileo docente a Padova, fu legata essenzialmente all'abilità con cui egli, aiutato da valenti artigiani, fabbricava ingegnosi strumenti (anche ad uso della Repubblica di Venezia ), mentre, per avere notizie della sua attività teorica, dobbiamo ricorrere ad alcune lettere che egli si scambiò con vari corrispondenti, ad esempio con Keplero. Le prime espressioni pubbliche del pensiero di Galileo si ebbero in occasione delle sue scoperte astronomiche, e furono ribadite mano a mano che tali scoperte divenivano più numerose e significative soprattutto dopo che egli aveva lasciato Padova, essendo stato nominato, nel settembre 1610, Filosofo e Matematico Primario del Granduca di Toscana, e Matematico Primario dello Studio di Pisa, senza obbligo di insegnamento.
Ma il mondo accademico italiano era ancora in larga misura di tendenze aristoteliche, e mal sopportava il progressivo affermarsi di teorie che avrebbero potuto mettere in crisi la dottrina ufficiale e compromettere il prestigio di numerosi cattedratici. Di qui, la creazione di una sorta di lega antigalileiana, di cui facevano parte, tra gli altri, il matematico Antonio Magini dello Studio bolognese, il rettore dell'Università di Pisa Arturo d'Elci, il letterato fiorentino Ludovico Delle Colombe, autore di uno scritto anticopernicano (prendendo spunto dal nome di questultimo, Galileo, con il suo pesante umorismo, parlerà di lega dei piccioni). I piccioni disponevano invero di un'arma molto temibile, costituita dalla copertura che la dottrina ufficiale della Chiesa aveva offerto all'aristotelismo. Chi contraddicesse le teorie astronomiche aristoteliche, correva il rischio di venire accusato di diffondere teorie eretiche.
Galileo si vide pertanto costretto ad esercitare i suoi poteri di comunicazione anche al di fuori del mondo accademico, affrontando il tema delicato dei rapporti fra scienza e teologia. Poi, per reagire ancor più efficacemente agli attacchi che gli venivano mossi dai suoi nemici, si decise a recarsi di nuovo a Roma, ove giunse il 3 dicembre 1615, con l'intenzione di discutere il suo problema al massimo livello, e di cercare di convincere l'autorità ecclesiastica della bontà delle proprie ragioni. Gli esiti di questo nuovo soggiorno romano furono del tutto fallimentari. Ad onta delle intercessioni di amici ed estimatori di Galileo, fra i quali si annoverava il giovane cardinale Orsini, il 23 febbraio 1616 i Qualificatori del Sant'Uffizio dichiaravano, all'unanimità, eretiche le tesi copernicane, relative all'immobilità del Sole e alla mobilità della Terra. Prima che la condanna, ratificata dal Papa Paolo V, divenisse ufficiale, il cardinale Bellarmino fu incaricato di ricevere Galileo in udienza privata, e di convincerlo benevolmente ad abbandonare la concezione eliocentrica. Gli anni che seguirono il decreto del SantUffizio, definiti comunemente dai biografi di Galileo anni del silenzio, furono in effetti dedicati dallo scienziato pisano ad affilare le proprie armi, e a mettere a punto argomenti capaci di corroborare le tesi copernicane. Il 23 maggio 1618, Galileo inviava all'imperatore Leopoldo d'Austria una lettera ossequiosa accompagnata da una copia del suo scritto "Sul flusso e riflusso del mare"; egli credeva, infatti, di avere individuato nel fenomeno di marea la prova decisiva del doppio moto terrestre. Poi, a partire dal novembre dello stesso anno, l'attenzione di Galileo e, in generale, del mondo scientifico europeo, si concentrò sull'improvvisa comparsa di tre comete. |


In alto: Sistema copernicano
In basso: copertina de "Operazioni col compasso" |