Il Dialogo dei Massimi Sistemi
 

Il sistema tolemaico

Copertina del "Dialogo"
Una pagina del "Dialogo"
Il Dialogo, pubblicato a Firenze con l'imprimatur ecclesiastico, dopo laboriose trattative con Roma, e destinato a difendere, con opportune argomentazioni, le teorie copernicane, consta di un dibattito, diviso in quattro giornate, fra tre personaggi creati dalla fantasia di Galileo, due dei quali, Salviati e Sagredo, esemplati su figure effettivamente esistite. Filippo Salviati (1583-1614), è, nel Dialogo, il difensore ufficiale delle tesi copernicane; Giovanfrancesco Sagredo (1571-1620), nobile veneziano colto e liberale, ben disposto ad accettare le nuove idee,è una sorta di moderatore, posto fra Salviati e il terzo personaggio, di pura fantasia, Simplicio, aristotelico di ferro. Il nome di quest’ultimo è un chiaro indizio della tattica galileiana, volta a distruggere gli avversari, sotto la copertura dell’ossequio formale. Simplicio era stato, infatti, uno dei più celebri commentatori di Aristotele, ma il suo nome poteva anche alludere, in lingua italiana, alla semplicità di spirito.Qualcuno indurrà poimalignamente Urbano VIII° a sospettare che la figura di Simplicio adombrasse quella del pontefice, il che non gioverà sicuramente alle fortune di Galileo
La scena del Dialogo, è palazzo Sagredo, a Venezia. Nel proemio, indirizzato al discreto lettore (si noti il tono moderno usato da Galileo, che, unito all’uso della lingua italiana,testimonia di un modo di comunicare ben più sciolto di quello in uso nel mondo accademico tradizionale), ritorna un argomento già utilizzato nella lettera a Ingoli: ’’…E’ mio consiglio nella presente fatica mostrare alle nazioni forestiere, che di questa materia se ne sa in Italia,e particolarmente in Roma,quanto possa averne imaginato la diligenza oltremontana.’’. E’ l’argomento dell’orgoglio nazionale, coniugato, però, in questa sede, con un accorta allusione alle idee del pontefice:’’…Il rimettersi ad asserir la fermezza della Terra, e prender il contrario solamente per capriccio matematico, non nasce da non aver contezza di quant’altri ci abbia pensato, ma,quando altro non fusse, da quelle ragioni che la pietà,la religione, il conoscimento della divina onnipotenza, e la coscienza della debolezza dell’ingegno umano, ci somministrano.’’. Anche se un riassunto del Dialogo si presenta particolarmente difficile, data l’ampiezza della materia trattata,e la varietà e mobilità degli interventi dei tre interlocutori, possiamo dare,in sintesi,un’idea dello schema dell’opera. La prima giornata è dedicata essenzialmente alla contestazione radicale della cosmologia aristotelica, in particolare alla distinzione dei corpi fra celesti e sublunari. Nella seconda e terza giornata, si cerca di dimostrare la possibilità dei moti terrestri, ricorrendo, ad esempio, all'argomento della relatività del moto già sviluppato nella risposta a Ingoli e cercando di ovviare alla mancanza di prove dirette della mobilità della Terra. La quarta introduce, infine, quello che, per Galileo, è l’argomento più valido a sostegno della mobilità terrestre, l’esistenza delle maree. Ma, quello che più importa al nostro scopo, è sottolineare il tipo di argomentazioni usato costantemente da Galileo. Anche se lo scienziato pisano rimprovera spesso a Simplicio, per il tramite di Salviati, di fare uso di fiorettirettorici, non esita anche lui a servirsi degli stessi, quando se ne presenti l’occasione (si veda, in proposito, il libro di Marcello Pera, ’Scienza e Retorica’-ed.Laterza).
Due esempi possono bastare al nostro scopo.
Salviati cerca spesso di mettere in difficoltà Simplicio, accusandolo di essere in disaccordo con le sue stesse premesse aristoteliche: Salviati-[aristotele] non afferm'egli che quello che l'esperienza e il senso ci dimostra, si deve anteporre a ogni discorso, ancorch? ne paresse assai ben fondato? e questo non lo dic'egli risolutamente e senza punto titubare?’’. Simplicio-‘’Dicelo’’ . Salviati-‘’Adunque di queste due proposizioni, che sono ambedue dottrina d’Aristotile, questa seconda,che dice che bisogna anteporre il senso al discorso, è dottrina molto più ferma e risoluta che l’altra,che stima il cielo inalterabile. E però più aristotelicamente filosoferete dicendo:<<il cielo è alterabile, perché così mi mostra il senso>>, che se direte:<<il cielo è inalterabile, perché così persuade il discorso ad Aristotile>>’’ (dal Dialogo Primo).
A Simplicio che contesta la possibilità di applicare i concetti astratti della matematica agli oggetti materiali, cui non si addice il rigore del calcolo, Salviati risponde con un argomento analogico:’’Ma sapete, signor Simplicio, quel che accade? Si come a voler che i calcoli tornino sopra i zuccheri, le sete e le lane, bisogna che il computista faccia le sue tare di casse, invoglie ed altre bagaglie, così, quando il filosofo geometra vuol riconoscere in concreto gli effetti dimostrati in astratto, bisogna che difalchi gli impedimenti della materia, che se ciò saprà fare, io vi assicuro che gli effetti si riscontreranno con meno aggiustamenti che i computi aritmetici’’ (dal Dialogo Secondo).
Il Dialogo, ove abbonda un modo di comunicare agile e sciolto, come quello delle argomentazioni sopra riportate, si chiude in modo astutamente conciliante nei confronti della dottrina della Chiesa. A Simplicio, che, pur riconoscendo l’ingegnosità dei discorsi di Salviati intorno alle maree, ha obiettato che la divinità avrebbe potuto dare origine a questi fenomeni anche in modi del tutto inconcepibili dalla mente umana, lo stesso Salviati (cioè Galileo) risponde:’’Mirabile e veramente angelica dottrina…’’. A cui Sagredo aggiunge:’’…Ed in tanto potremo, secondo il solito, andare a gustare de’ nostri freschi nella gondola che ci aspetta.’’
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